La mappa della vergogna
di Roberta Marilli e Alfio Ferrara
Alla fine Cuffaro ha ceduto. Strattonato dalla protesta
popolare, è stato costretto ad approvare la mozione
presentata dalle opposizioni e, dopo un incontro con i
prefetti, ha riattivato le unità di crisi. Da oggi sarà
possibile requisire i pozzi privati e si dovrà procedere
rapidamente alla costituzione di un’autorità unica per la
gestione delle acque.
Ma se restano queste le soluzioni proposte, l’efficacia
della cosiddetta «task force» per l’emergenza idrica si
presenta piuttosto deludente. In due mesi la squadra del
commissario Cuffaro è riuscita soltanto a riproporre
rimedi già prospettati dal generale Jucci, a fornire cifre
accomodate per scaricare le responsabilità sui
predecessori, a organizzare riunioni autoreferenziali
pubblicizzate dai soliti uffici stampa compiacenti e ad
assegnare progettazioni per migliaia di euro per i
rifacimenti degli acquedotti Favara di Burgio e Gela –
Aragona. I lavori, si dice, saranno appaltati entro il
prossimo autunno. Staremo a vedere.
Vi proponiamo una mappa ragionata delle dighe e degli
invasi siciliani. Della loro storia, del perché tutti o
quasi non hanno mai raccolto tutti i milioni di metri cubi
d’acqua che possono contenere.
Vi anticipiamo che non è tutta colpa del Buon Dio che non
manda la pioggia...
PALERMO
Diga Poma. Potrebbe fornire acqua potabile a tutti
i comuni, da Partinico a Palermo (capacità massima 70
milioni di metri cubi d’acqua). Invece raccoglie solo un
decimo dell’acqua che potrebbe contenere: dopo la tragedia
del Vajont, è necessario per il collaudo uno studio
dell’onda di piena in modo da stabilire i possibili
effetti di un crollo. Mai fatto.
Diga di Rosamarina, fra Termini Imerese e Caccamo.
Venne inaugurata nel 1990 dall’allora Presidente della
Regione Rino Nicolosi. Dopo il taglio del nastro si scoprì
che nella diga non c’era acqua e che mancavano le
condutture. Poi l’acqua arrivò ma era salata e allora si
pensò di dotarla di un dissalatore interno. Può contenere
fino a 40 milioni di metri cubi d’acqua. Oggi, dovrebbe
essere collegata al potabilizzatore di Piana degli
Albanesi. In ogni caso, l’acqua contenuta dalla diga non
può essere utilizzata perché non è collegata
all’acquedotto cittadino.
Diga dello Scanzano (gestita dall’Eas). Ha problemi
alle paratie rimaste bloccate in seguito a una scossa di
terremoto nel 1968! Se ci fosse un'inondazione, l'acqua
tracimerebbe a valle travolgendo ogni cosa. Dovrebbe
essere svuotata, per ripararla. L’anno scorso si sono
stanziati 4 miliardi e 700 milioni per farlo. Ma non è
stato ancora fatto.
Diga Garcia. Può contenere fino a 60 milioni di
metri cubi di acqua. Costata centinaia di miliardi, è
stata al centro di una lunga faida di mafia. Per anni
inutilizzata, l'argilla del corpo centrale ha finito con
l'asciugarsi e spaccarsi. Insomma, non serve.
Diga Blufi (appartiene all’EAS). Nel cuore delle
Madonie. Avrebbe dovuto essere il “vaso comunicante” tra
la diga Ancipa e quella del Fanaco e distribuire acqua
alle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Quando
nell’89 si cominciò a parlare della sua costruzione, le
associazioni ambientaliste e gli abitanti della zona erano
assolutamente contrari prevedendo che l’impatto ambientale
sarebbe stato devastante. L’allora Assessore ai Lavori
Pubblici, Totò Sciangula, per invogliarli disse che -
oltre al lavoro - il bacino artificiale connesso alla diga
avrebbe portato gare di canottaggio e windsurf (certo, in
montagna, con tutto quel vento…). Alla fine si convinsero
tutti e l’assessore giurò che sarebbero arrivate anche le
svedesi in topless. nessuno pensava che oltre al danno ci
sarebbe stata anche la beffa. L’investimento iniziale era
di 300 miliardi. Altri 120 furono stanziati per
completarla grazie a una manciata di varianti d’opera e
perizie suppletive. Tra le imprese appaltanti l’Impresem
dei Salamone e dei Miccichè, inquisiti per mafia.
Alcuni anni fa i lavori furono interrotti. Nel carteggio
mancava la verifica di impatto ambientale e l’allora
Ministro Ronchi fu irremovibile. Nel 2000, la Regione ha
chiesto una deroga per asportare 4.000.000 di metri cubi
di materiale di risulta dalle cave all’interno del Parco,
tutte controllate dalla mafia. Non l’ha ottenuta. C’è poi
in corso un contenzioso tra l’EAS che è l’ente appaltante
e le imprese (ora rilevate dalla Coopcostruttori Ravenna).
Pochi mesi fa, Jucci annunciò che voleva definitivamente
risolvere il contenzioso. Ma il generale è stato congedato
e adesso le stellette sono appuntate sul petto di Cuffaro:
Presidente e Commissario straordinario.
AGRIGENTO
Ad Agrigento, il Comune non possiede una mappatura della
rete idrica esistente. Per le riparazioni delle condutture
ci si affida alla tradizione orale: il più anziano degli
operai racconta a quelli più giovani i misteri
dell’acquedotto. Verrà forse istituito un nucleo di
cani-segugio.
Diga Furore. I lavori vanno avanti da vent'anni.
Costo, finora: alcune centinaia di miliardi.
Attualmente la diga è vuota: hanno scoperto che era
indispensabile un lavoro di manutenzione non previsto e
mai realizzato. L’appalto non è stato ancora assegnato.
Diga di Fanaco. Capacità massima: 19 milioni di
metri cubi. Contiene una quantità irrisoria d’acqua. In
compenso è piena di fango. In ogni caso, ha problemi
strutturali che non ne consentono il pieno utilizzo.
Laghetto di Gorgo. In teoria la sua capienza è di
tre milioni e 400 mila metri cubi d'acqua. Ne contiene la
metà. Stesso problema della diga Fanaco: un'enorme
quantità di fanghiglia. Per rimuoverla occorre uno
stanziamento di alcuni milioni di euro.
Serbatoio Arancio. Dovrebbe essere collegato con il
lago Castello (spesa prevista 70 miliardi di vecchie
lire). E’ già interconnesso con gli invasi Poma e Garcia.
Il problema è la condotta Favara-Burgio. Deve essere
rifatta ex-novo: spesa prevista 59 milioni di euro.
Diga Piana del Leone, interrata per tre quarti;
potrebbe raccogliere milioni di metri cubi d'acqua, ne
contiene al massimo due. Nell'ottobre del 1986 fu
appaltato lo sfangamento e la pulizia del fondale: lavori
per circa 33 miliardi. Non se ne fece nulla perché la
ditta appaltatrice non ebbe le
autorizzazioni necessarie.
Minidissalatori di Porto Empedocle. Pochi mesi fa
furono spenti. La Co.ge.dis aveva dimenticato di pagare
una bolletta Enel di un miliardo e mezzo di lire. La
Regione si è impegnata a saldare. Ma anche accesi, non
sono più affidabili del mitico dissalatore di Gela (vedi
dopo). Un giorno o l’altro verrà in visita Cuffaro e
proverà a riparararli con le sue mani.
GELA
Diga Gibbesi di Naro. Costruita dall'EMS, è passata
al Consorzio di Bonifica di Gela. La diga è vuota, va
completata. Mancano gli stanziamenti per farlo.
Diga Disueri Ha meno di 1 milione di metri cubi
d’acqua, ne potrebbe contenere fino a 14. Usata solo a
fini irrigui. Quando fu costruita non ci si accorse che
nell’invaso affluiva una vena di acqua intrisa di zolfo, e
così le esalazioni di anidride solforosa hanno corroso
alcune strutture portanti. Adesso è in fase di collaudo.
Diga Comunelli. Potrebbe contenere fino a otto
milioni di metri cubi ma è soggetta da anni ad
interramento. Le pendici del bacino inoltre sono franabili.
E’ semivuota. Capacità massima: 8 milioni di metri cubi.
L’anno scorso il Servizio nazionale dighe lanciò un
ultimatum: se non si provvede a rimuovere il fango dovrà
essere abbattuta.
Dissalatore di Gela. Gestito dall’Agip Petroli.
Finalmente l’attesa è finita. Il quinto modulo e il quinto
bis (appalto iniziale:70 miliardi) sono stati attivati. In
compenso, il quarto, il terzo, etc. etc. vanno in tilt a
rotazione. A volte anche tutti insieme. L’acquedotto che
dà l’acqua dissalata a Gela, Niscemi, Licata, Campobello
di Licata, Palma di Montechiaro e Agrigento è pieno di
buchi. Un giorno sì e l’altro pure l’erogazione è sospesa
per le riparazioni. Nei pressi di Licata, ultimamente
alcuni agricoltori non hanno resistito alla tentazione di
irrigarsi i campi: altri buchi. Denunciati, non sono né i
primi né gli ultimi. L’estate scorsa altri, ignoti, ci
provarono con picconi e colpi di fucile.
ENNA
Invaso Olivo. Il potabilizzatore non funziona.
Invaso di Pozzillo. Capacità massima: 113 milioni di metri
cubi. Ne contiene appena 10. E’ necessaria un’opera di
sfangamento degli scarichi e della presa di fondo della
diga. La condotta Ancipa-Pozzillo funziona poco e male.
Diga Ancipa. Insieme a Blufi e Pietrarossa è il
simbolo del malgoverno della Sicilia e dell’intreccio tra
grandi appalti e mafia. Si trova nel territorio di Troina.
L'invaso(capacità massima 30 milioni di metri cubi) è di
proprietà dell'Enel che, attraverso cinque centrali in
cascata, produceva energia elettrica. Poi il governo
regionale stipulò un accordo con l'Enel per attingere
acqua dalla diga che attraverso un potabilizzatore
dovrebbe servire vari comuni nelle province di Enna,
Caltanissetta, Messina, Catania. I lavori di costruzione,
iniziati nel 1949 (allora alcuni operai vi persero la
vita, ci sono delle lapidi a ricordarlo) furono interrotti
per molti anni. Erano finiti i soldi. Negli anni ’80 per
il completamento: si stanziarono 1500 miliardi di lire,
fondi della Cassa del Mezzogiorno e dell’Agensud. I lavori
furono bloccati in seguito ad un esposto di Legambiente.
La magistratura appurò che l’azienda titolare
dell’appalto, la Lodigiani-Cogei del gruppo Rendo, aveva
operato senza alcuna autorizzazione urbanistica. Per di
più l’appalto per il completamento dell’acquedotto fu
assegnato senza preoccuparsi delle crepe che già
interessavano il muro di sbarramento della diga.
Microfissurazioni termiche che sono rimaste lì da allora.
In queste condizioni, la diga non sopporta la pressione di
una grande quantità d’acqua. Alcuni mesi fa, Jucci aveva
incontrato i responsabili dell’ “Enel Green Power” ed era
partito l’iter di assegnazione dell’appalto. Visti i
precedenti, si annunciano tempi lunghi. Devono poi essere
risanate la galleria Troina-Grottafumata, il canale
allacciante di Ancipa e il canale di Quota 100, la dorsale
della Piana di Catania, lungo 14 chilometri.
CATANIA E CALTAGIRONE
Premessa: l’acqua in provincia di Catania è gestita da tre
consorzi di bonifica: Catania, Caltagirone ed Enna. Il
Consorzio di Bonifica di Catania non ha nel suo territorio
alcun invaso, ma si serve dell’acqua dell’invaso Pozzillo,
Ancipa, Ogliastro, Don Sturzo e del Lago di Lentini.
Diga Pietrarossa. I lavori iniziano nell’89. E’ la
specializzata ditta Lodigiani-Cogei del gruppo Rendo ad
aggiudicarsi l’appalto. Per la sola diga, progettata a
fini irrigui, lo stanziamento iniziale della Cassa del
Mezzogiorno fu di 170 miliardi di lire. Iniziano i lavori,
la successiva inchiesta accerterà che non c’erano i visti
della Soprintendenza. Siamo nel ’90. Scava e scava, gli
operai si imbattono nei resti di una villa d’età romana.
Scatta una prima inchiesta della Procura di Enna. Ma la
ditta continua a lavorare per altri tre anni. Del resto un
verbale della sezione archeologica dice che non c’è alcun
reperto (strano: tre giorni prima un altro verbale parlava
di frammenti di ceramiche…). Il sito - è ovvio - subisce
danni irreparabili. Ma nel ’95 spunta un’altra grana:
lesioni della struttura, colpa dello smottamento del
terreno, dice l’impresa. Secondo i magistrati della
Procura di Caltagirone, invece, i tecnici, i funzionari e
l’ impresa costruttrice avrebbero concertato una truffa
per ottenere un ulteriore finanziamento di circa venti
miliardi per riparare un danno causato – diceva l’impresa
- dal terremoto del 1990. Nel corso dell’inchiesta è stato
appurato che le lesioni sono state provocate da errori
nella costruzione. Passano altri tre anni: la ditta,
abusivamente efficiente, non si ferma un giorno. Agli
inizi del ’98 la procura di Enna mette sotto sequestro il
cantiere ed emette gli avvisi di garanzia per 12 indagati:
abuso, rifiuto di atti d’ufficio, deturpamento di bellezze
naturali e archeologiche. Tra gli altri, anche i nomi dei
tre funzionari della soprintendenza che firmarono il
sopralluogo-tutto-a-posto-continuate-pure-scusate-il-disturbo.
CALTANISSETTA
“Non c’è bisogno di un generale dei Carabinieri, che non
sa pronunciare nemmeno Caltanissetta con due «s» per avere
l’acqua in città ogni quattro giorni.” Il capogruppo di
Alleanza Nazionale all’Assemblea Regionale, Giovanni
Sfalanga pare ne avesse fatto una questione di sano
campanilismo: il continentale generale Jucci, nominato da
poco Commissario per l’emergenza idrica, andava rimosso.
Fosse solo per quell’imperdonabile difetto di pronunzia. E
nonostante Jucci fosse destinato a conseguire, di lì a
poco, il risultato concreto di far avere in città l’acqua
ogni tre giorni grazie all’impiego delle autobotti
dell’Esercito.
Adesso per fortuna, il rischio di un’invasione nordista è
rientrato. Jucci è stato deposto, al suo posto è stato
nominato il sicilianissimo Presidente, Caltanissetta è
tornata ad essere pronunziata con due esse. E l’acqua ha
ripreso ad essere erogata ogni quattro giorni. Tutto come
prima, insomma.
Comicità di regime. La situazione di Caltanissetta,
invece, continua a non far ridere. Il Consorzio di
Bonifica di Caltanissetta non gestisce alcun invaso.
L’acqua per gli usi idropotabili è fornita dall’Eas
attraverso l’acquedotto del Fanaco, quello delle
Madonie-Est e quello dell’Ancipa. Viene raccolta nel
serbatoio Cozzo di Guardia (che è piccolo e dovrebbe
essere ampliato, il progetto c’è, si aspetta il
finanziamento della Regione) e da lì distribuita. L’Eas
assicura di far arrivare 160 litri d’acqua al secondo.
In realtà, nei rubinetti nisseni ne arrivano 45 litri di
meno. Sempre al secondo. Si perdono in parte dalle falle
delle condotte fatiscenti, in parte da quelle del sistema
burocratico. Ancora più fatiscente, se possibile: per ogni
riparazione il Comune, prima di intervenire, fa le
segnalazioni all’Eas di Caltanissetta che, costantemente
in bolletta, le gira alla sede centrale di Palermo. Da
Palermo mandano a dire che quelli dell’ufficio tecnico del
Comune non hanno inviato la planimetria e che senza di
quella non sanno dove mettere le mani.
Le condotte ridotte a un colabrodo non sono l’unico
problema della crisi idrica nissena. Ci sono sparizioni
consistenti di acqua – trenta litri al secondo, quanta
potrebbe rispondere al fabbisogno di un paese di media
grandezza – che avvengono lungo tratti dell’acquedotto
dell’Ancipa alto. Ci sono ritardi nel deliberare il
completamento dell’avantidiga di Blufi, che il Ministro
delle infrastrutture e dei Trasporti - ricordate? Quello
che diceva che è opportuno scendere a patti con la mafia –
vuole a tutti i costi inserire in un appalto più
sostanzioso. Giusto per avere qualche cosa in più da
offrire, quando riuscirà a sedersi alla tanto auspicata
tavola rotonda per patteggiare con la mafia.
Ci sono, insomma, molti elementi su cui ragionare. Lo sta
facendo, tra gli altri, la Procura di Caltanissetta. Nel
Duemila è stata aperta un’inchiesta per accertare le
responsabilità rispetto alla crisi idrica. Un troncone
dell’indagine pochi mesi fa si è concluso con l’iscrizione
nel registro degli indagati di Alberto Tulone,
ex-caporeparto Eas, accusato di interruzione di pubblico
servizio e inadempimento di pubbliche forniture. Era
l’ottobre di due anni fa, quando arrivò al Comune di
Caltanissetta un annuncio dell’Eas-diretta all’epoca da
Tulone, che l’acqua da lì in avanti sarebbe stata
distribuita ogni sei giorni e non più ogni quattro. Non
veniva data alcuna spiegazione del motivo di tale
decisione. La mattina successiva arrivó un altro
messaggio, con cui il presidende dell’Eas, Vincenzo
Liguori, annullava la frettolosa disposizione del suo
dipendente. Non abbastanza, per salvare dai guai Tulone,
che è stato rinviato a giudizio dal giudice delle udienze
preliminari, Leopoldo Di Gregorio. Il processo dovrebbe
aprirsi il 15 luglio prossimo.
TRAPANI
Dissalatore di Nubia. E’ gestito dall’Eas. Lo
sapevate che ci sono intere zone (Valderice, Paceco,
Custonaci, Erice, Napola, le Egadi etc.) di questa parte
della Sicilia che, per l’acqua, dipendono unicamente da un
grande e inefficiente dissalatore? Si trova in contrada
Nubia, nella zona Asi (aria sviluppo industriale).Tra
guasti (una volta scoppia una caldaia, un’altra le alghe,
inspiegabilmente, entrano negli ingranaggi delle pompe di
sollevamento) e manutenzione più o meno straordinaria si
blocca, in media, nove giorni su sessanta. L’anno scorso,
a maggio, per sostituire una caldaia e collaudare quella
nuova, restò fermo per un mese e mezzo. Le autobotti dei
privati sono l’unica alternativa: e questo dà, ai privati,
la possibilità di imporre a loro discrezione tariffe
giorni e orari di distribuzione. I dirigenti dell’Eas
sostengono che la colpa di molte delle frequenti
interruzioni è dell’Enel, che toglie senza preavviso la
corrente. Quelli dell’Enel, secondo copione, declinano
ogni responsabilità.
Acquedotto di Montescuro-Ovest
Serve l’intera Valle del Belice. Dipende in gran parte
dall’invaso Garcia, e dal suo potabilizzatore, che avrà
pure un sistema computerizzato di supervisione ma di
quelli poco affidabili. Per di più, il potabilizzatore, di
cui è proprietaria l’Eas, è gestito da una società
privata, la Di Vincenzo. Entrambe pare abbiano l’abitudine
di non pagare i dipendenti, che sono costretti a
scioperare, complicando ulteriormente i processi di
distribuzione dell’acqua. Come se non bastasse, anche
quest’acquedotto rientra a pieno titolo nella categoria
dei colabrodo (in alcuni tratti si registrano perdite fino
all’80%). Bisognerebbe sostituire interi chilometri di
condotta. Jucci aveva progettato di sostituire i tratti
più fatiscenti, spendendo poco alla volta, purché i lavori
iniziassero in tempi brevi. Cuffaro dice che ha già
stanziato varie migliaia di euro per rifarla tutta
ex-novo. Staremo a vedere.
Serbatoi Paceco, Trinità, Rubino, Zafferana. Tutti per usi
irrigui. Il Servizio Nazionale Dighe non ne autorizza il
riempimento. Mancano i collaudi. Potrebbero contenere
quasi cinquanta milioni di metri cubi d’acqua. Ne hanno
appena due-tre milioni ciascuna. Sono gestite dal
Consorzio di Bonifica. Pochi mesi fa, un Giudice del
Lavoro di Trapani ha ritenuto illegittima, ordinandone
l’immediata revoca, l’assunzione da parte del Consorzio di
sedici dipendenti. I dirigenti dell’ente non avevano
informato le rappresentanze sindacali. Non è che
l’avessero dimenticato; il fatto è che si doveva fare in
fretta, altrimenti scadevano i tempi per usufruire del
finanziamento regionale per i lavoratori a termine.
Cuffaro&co. avevano firmato il decreto legge il 28 gennaio
2001, lo avevano spedito ai Consorzi il 31 gennaio. Il
termine ultimo era il giorno stesso. Prendere o lasciare.
SIRACUSA
Invaso di Lentini. Si estende su una superficie
enorme. Costato oltre 800 miliardi di lire, potrebbe
contenere 127 milioni di metri cubi d'acqua, ne contiene
tra i quindicimila e i trentamila. L’invaso nasce
sovradimensionato. Dovrebbe servire ad irrigare i terreni
delle province di Catania e Siracusa ma anche ad
approvvigionare le aree industriali di Siracusa e Catania.
L'infrastruttura, costruita dall'ex Casmez, era di
proprietà del Ministero dei Lavori Pubblici. Ora come
opera (in linea teorica) compiuta, dovrebbe passare in
concessione alla Regione, attraverso il Ministero per le
Politiche Agricole. La gestione è affidata al Consorzio di
Bonifica di Siracusa. L’acqua dovrebbe arrivare al lago da
tre sistemi: il Salso-Simeto, l’Ancipa, e la diga
Ogliastro, quest’ultima perennemente a secco. Tanto che si
pensa di travasare qui parte delle riserve della diga
Nicoletti, provincia di Enna. Se non ci fosse l’acqua del
Simeto l’invaso sarebbe una specie di immenso acquitrino.
In ogni caso, il volume invasato non può essere utilizzato
a pieno perché gli impianti di sollevamento sono troppo
piccoli. Agli agrumeti della zona ci pensano i proprietari
di pozzi privati, che, è ovvio, fanno affari d’oro. Per le
altre colture i danni non si contano.
RAGUSA
Invaso Ragoleto. Sul fiume Dirillo, gestito dall’Agip
petroli per uso industriale. Fino a poco tempo fa, non
poteva fornire acqua per i sedimenti e il fango che
avevano otturato gli scarichi di fondo e le opere di presa
del corpo diga. Ora ha ripreso a funzionare, ma l’acqua
ivasata finisce presto. Non serve solo le industrie, ma
anche il Consorzio di Bonifica. Del resto, essendoci
moltissime colture ortofrutticole protette, cioè serre, la
stagione irrigua dura tutto l’anno. In sostanza, i
raccolti dipendono dai pozzi privati. Le spese di
produzione aumentano, e si sommano a quelle, non
indifferenti del trasporto. Certo, sarebbe diverso se ci
fossero strade e ferrovie efficienti. Che mancano,
ovviamente.
MESSINA
Isole Eolie
Il Dissalatore di Lipari e le navi-cisterna. Un
metro cubo d’acqua prodotto da un dissalatore costa circa
due euro e cinquanta. Se, invece, l’acqua arriva a
un’isola con una nave cisterna, il suo costo a metro cubo
è di quasi otto euro. Le Eolie possono contare solo sul
dissalatore di Lipari, ma mancano le condutture
sottomarine per raggiungere le altre isole. Quella tra
Lipari e Vulcano è stata iniziata ma mai finita.
In queste condizioni, il ricorso alle navi-cisterna è
obbligatorio. Si parla di un business da sedici milioni di
euro all’anno. Se poi l’unico dissalatore che c’è si
blocca, o non funziona a pieno regime, come è capitato la
scorsa primavera, i guadagni sono ancora più alti. Da
anni, l’appalto per le Eolie bandito dal Ministero della
Difesa) viene vinto sempre dalla stessa ditta, la Vemar di
Napoli. Quest’anno, però se l’era aggiudicato la Finaval,
proprietà del Gruppo Fagioli. Quelli della Vemar,
chiaramente delusi, presentano alla Procura della
Repubblica una denuncia contro gli avversari. L’accusa:
non hanno navi sufficienti e quelle che hanno non sono
adatte. Di fatto la Finaval fino a pochi mesi prima era
specializzata nel trasporto di sostanze chimiche. L’Asl,
preleva campioni d’acqua dall’unica nave che aveva
caricato l’acqua dall’acquedotto di Messina e sentenzia:
quell’acqua non è potabile. Alla Finaval cominciano a
parlare di “complotto”, ma il Ministro Martino le revoca
l’appalto. Subentra la Vemar.
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