Il pm
Pierpaolo Filippelli preannuincia richiesta di condanna per il
catanese Carmelo Zappalà
Il killer fu «Tunnacchio»
Assassinò il boss
siracusano Salvatore Belfiore
L'omicidio del boss siracusano Salvatore Belfiore, detto 'u cinisi,
è stato al centro della requisitoria pronunciata ieri pomeriggio dal
Pubblico Ministero Pierpaolo Filippelli. Sull'agguato al capo
dell'omonima organizzazione criminale, che era stata costituita alla
fine degli anni Settanta per contendersi il predominio territoriale
e gli illeciti traffici al più agguerrito gruppo capeggiato da
Agostino Urso, si è celebrato già qualche anno addietro un processo,
culminato con la condanna irrevocabile nei confronti dei seguaci del
«prufissuri», cioè a dire di Vincenzo Cassia, Dario Troni e Girolamo
Montalto. Oggi il caso riapproda in un'aula giustizia, e
precisamente dinanzi alla Corte d'Assise (presidente, Anna
Guglielmino; a latere, Giuseppina Storaci) perchè viene giudicato il
presunto killer di Salvatore Belfiore, individuato, grazie ai
collaboratori di giustizia, nel catanese Carmelo Zappalà, detto Melo
'u tunnacchio, appartenente al clan dei Cursoti.
L'omicidio di Salvatore Belfiore si verificò la mattina del 23
maggio 1992. Il boss siracusano fu aggredito a colpi di pistola
all'interno della propria rivendita di pesce, ubicata in una via
adiacente al piazzale delle Poste. Belfiore, pur essendo armato di
pistola, non era riuscito a sottrarsi ai colpi mortali dello
sconosciuto che aveva fatto irruzione nella rivendita e lo aveva
crivellato di piombo, centrandolo ripetutamente alla testa. Gli
attimi susseguenti alla tragica aggressione erano stati seguiti in
diretta radiofonica dagli agenti della Squadra Mobile, che da mesi
stavano intercettando tutte le conversazioni che avvenivano
nell'abitazione del rivale di Belfiore, Agostino Urso. Era stato
appunto Urso a commissionare l'omicidio di Belfiore che, sapendo
dell'abilità e della diffidenza dell'avversario, aveva chiesto ai
Cursoti, di cui era un alleato, di mettergli a diposizione un killer
per poter sopprimere il rivale. Ma mentre con l'ascolto delle
intercettazioni ambientali era stato possibile individuare Urso come
mandante e i suoi giovanissimi seguaci come comprimari nell'azione
delittuosa, nessun accenno si faceva sul nome del killer, per cui
sembrava impensabile poterlo smascherare e trascinarlo a giudizio.
E, invece, no. Con l'avvento del fenomeno del pentitismo, cadevano
tutti i veli che avvolgevano il misterioso killer venuto da Catania.
Si trattava appunto di Carmelo Zappalà, il quale, peraltro,
lavorando alle dipendenze del boss siracusano Agostino Urso, avrebbe
commesso non solo l'assassinio di Salvatore Belfiore, ma un mese e
mezzo prima avrebbe preso parte anche all'agguato mortale ai danni
di Angelo Garofalo. Concordi sono risultate le chiamate in reità
fatte da gran parte dei collaboratori di giustizia, ultimo dei quali
Luigi Narzisi che, peraltro, ha dichiarato di aver conosciuto «Melo
'u tunnacchio» nel carcere di Catania e di aver raccolto la sua
protesta contro il malvezzo dei malavitosi siracusani di parlare a
vanvera e di non sapere tenere riservate notizie come quelle
riguardanti le sue «performances» omicidiarie fatte nel capoluogo
aretuseo. Scontate le conclusioni del piemme Filipelli, che ha
preannunciato richiesta di condanna per Carmelo Zappalà.
Pino Guastella
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