Saggio di Massimo Onofri su Leonardo
Sciascia
Le metafore ossessive del nuovo illuminista
Francesco Bonardelli
C' è coerenza di
metodo e impostazione di ricerca, nel doppio lavoro di
Onofri su Sciascia per i «cofanetti» Einaudi; che
all'insostituibile forma-libro aggiungono la densa
citazione audiovisiva, privilegio del Novecento rivissuto
per immagini. Una testimonianza critica in presa diretta
sul complesso universo narrativo e filosofico,
intellettuale e politico di uno tra gli autori più
controversi, ma anche criticamente più significativi,
della nostra contemporaneità: Sciascia «scrittore pronto a
battersi per la verità; come posseduto dal demone
dell'impegno, quand'anche si trattasse di un impegno senza
speranza». E dall'infanzia «segnata» in Sicilia, agli
esordi condizionati dalle influenze pirandelliane e dalle
letture di Brancati, fino alla scelta per il «giallo»
politico dei Sessanta e quindi alla consacrazione dei
decenni successivi, rivivono dell'opera la scomoda
linearità del percorso creativo, la soprendente capacità
di previsione degli eventi, la testarda rincorsa di un
pessimismo consapevole verso l'utopia della perfezione e
dell'assoluto. Quella del «nuovo tempo» e della «nuova
umanità»; la definisce il critico, inaugurando nella
desolazione-riscatto di Regalpetra la sua analisi storica
e filologica dell'opera di Sciascia. Stagione di promesse
e di speranze, condizioni prime di una diversa
letteratura, nell'innovazione dei suoi rappresentativi
artefici: Verga, Navarro della Miraglia, Pirandello, Rosso
di San Secondo, Alessio Di Giovanni, Nino Savarese,
Francesco Lanza. Soprattutto, premessa operativa di quella
che Onofri definisce condizione essenziale dell'esperienza
di Sciascia, collegata negli esordi e nelle motivazioni ai
suoi paralleli culturali e ideologici, e mai da essi
pienamente affrancata, nonostante la recidiva tendenza
allo scontro e alla polemica: «la vicinanza emotiva dello
scrittore agli umiliati e offesi, ai perseguitati e agli
oppressi, quella vicinanza che l'avrebbe portato ad
aderire, all'inizio della sua carriera letteraria, al
Vittorini di Conversazione in Sicilia ; quello per cui
«non ogni uomo è un uomo, e non tutto il genere umano è
genere umano», se è vero che «uno perseguita e uno è
perseguitato, e genere umano non è tutto il genere umano,
ma quello solitario del perseguitato». Paragone difficile,
come ogni altro riguardante l'opera di Sciascia nella sua
ideologica evoluzione. Ma utile - nel rigoroso percorso
biografico-letterario scrupolosamente seguito dal volume -
a configurare il ricorso continuo alle metafore ossessive,
all'immagine della Sicilia elevata (o abbassata) sul
livello simbolico dell'intera nazione, con i suoi problemi
irrisolti o per sempre irrisolvibili. Il ritratto,
conseguente, di «un illuminista tentato dall'irrazionalità
del male, ossessionato dai meccanismi inquisitori e
barocchi del potere, radicalmente scettico eppure non
senza una sofferta religiosità, perfettamente in bilico
fra i sublimi disincanti di Montaigne e gli strenui
paradossi di Pascal». Equilibrio sempre ricercato, pur
nella precarietà delle oggettive condizioni
politico-sociali, cui sempre l'attività letteraria in
questione può (e deve) ricondursi o riferirsi; nelle
peculiarità creative e nella paziente, profonda ricerca
saggistica. La dialettica intensa con Pasolini, la crisi
del delitto Moro, l'impegno istituzionale assunto
controvoglia, la frenetica rivisitazione storica della
contemporaneità negli anni ultimi dell'impegno militante:
tessere tutte di un mosaico che Onofri ricompone su fini
dichiaratamente divulgativi. Con il ricorso però a una
densa e articolata storia critica, che in sé rappresenta
uno spaccato fondamentale della vicenda culturale ultima
nella nazionale, sospesa tra l'arte e la letteratura come
«scandali» permanenti e le conflittualità mai
completamente sanate tra intellettuali e potere. Torna
Vittorini, ma non solo. Torna un «pirandellismo di natura»
adoperato su basi rivoluzionarie; torna soprattutto la
voglia mai placata del razionalismo delle origini, della
disillusione trasformata in protesta e in denuncia. Tra le
pagine e le interviste, restaurate dai fondi della
videoteca Rai, emergono lo stile, il volto, i discorsi
inconfondibili di un precursore mai appagato dalle sue
stesse teorie. E ben visibile - pur nella dimensione
«pubblica» di un'avanguardia culturale - si evidenzia il
carattere del letterato, dello scrittore che su tutto
costruisce un'impresa d'arte e creatività. Questa
dimensione, appunto, fin troppo trascurata nella
storicizzazione della complessiva attività di Sciascia,
riappare nel volume Einaudi quasi in primitiva
caratterizzazione. E scopre, qualora fosse necessario, una
personalità d'autore perfettamente rappresentativa di
un'epoca o periodo storico; assolutamente inquadrata
proprio nella problematica limitazione del Novecento
letterario, fortunatamente avaro di formule e prodigo di
sperimentazioni. Sciascia dentro il suo tempo e «dentro
questioni che toccano il cuore della storia d'Italia degli
ultimi e terribili quindici anni». «A documentare -
conclude Onofri - un impegno tra i più appassionati e
brucianti, ma vissuto sempre controvoglia, se lo
distoglieva dalla sua unica vera patria celeste: la
letteratura». E il torto visibile nello «schiacciare» lo
scrittore sui termini di un protagonismo politico emerge
ancora, secondo il critico, nell'epigrafe misteriosa della
sua tomba, affidata ai concittadini di Racalmuto: «ce ne
ricorderemo, di questo pianeta».
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